Casey (Anya Taylor-Joy) è un’adolescente introversa e problematica, tenuta in disparte dalle compagne di scuola più popolari. Un giorno viene invitata per pietà a una festa e, non avendo altro modo di tornare a casa, accetta un passaggio in auto dal signor Benoit, padre di Claire (Haley Lu Richardson). In macchina, oltre a Casey e Claire, c’è anche Marcia (Jessica Sula), grande amica di quest’ultima.
Mentre le due ragazze sono impegnate a guardare il loro smartphone, non si accorgono che la persona che si siede al volante non è il padre di Claire, bensì uno sconosciuto che con uno spray al cloroformio stordisce le tre ragazze e le sequestra, allontanandosi dalla zona. Le tre si risvegliano scoprendo di essere imprigionate all’interno di una cella in un sotterraneo. Il loro sequestratore è Kevin Wendell Crumb (James McAvoy). Passano i giorni e, fra vari tentativi di fuga, sedute di Kevin dalla sua psichiatra, la dott.ssa Fletcher (Betty Buckley) e flashback che riguardano il passato di Casey, scopriamo che Kevin è ancora più pericoloso di quel che già sembrava essere. Egli soffre di una forma particolarmente grave di disturbo dissociativo della personalità e la sua mente ospita una serie di ventiquattro "persone" diverse fra loro, fra le quali Dennis, Hedwig, Barry, Jade, Patricia e Orwell. Le varie personalità hanno caratteri diversi, ma le più minacciose hanno organizzato un piano per rapire le ragazze e sono riuscite a imporsi sulle altre. Il tutto attendendo l’arrivo della personalità più malvagia e temibile, The Beast. La dott.ssa Fletcher coglie che qualcosa non va in Kevin e, suo malgrado, scoprirà di aver ragione... Cosa accadrà quando arriverà La Bestia? Questo film ha destato non poche critiche tra gli esperti dei disturbi mentali, in particolare una psicologa ha scritto una lettera in cui spiega al regista Shyamalan perché il suo film alimenta stereotipi e problemi. La dott.ssa in questione ha voluto spiegare: "Essendo una psicologa esperta sull'argomento e una persona che soffre di multiple personalità, penso che sia il mio dovere spiegare alcuni fatti: le persone che soffrono di un disturbo dissociativo non sono, in generale, raccapriccianti o ingannevoli, non ci nascondiamo in vicoli oscuri. Non siamo rapitori che rinchiudono teenager in cantina, e sicuramente non siamo assassini. Invece siamo mariti e mogli, padri e madri, amici e vicini di casa che soffrono in silenzio di una condizione dolorosa, paurosa e spesso debilitante in cui il concetto di chi siamo è diviso in parti frammentate. La nostra condizione è causata da una storia di abusi gravi e ripetuti vissuti da bambini. In verità siamo vittime di una violenza impossibile da immaginare. Avere più personalità, come la depressione, lo stress post traumatico e i tentativi di suicidarsi sono solo sintomi di infanzie terribili". Proviamo a fare chiarezza sul Disturbo Dissociativo dell’Identità (DID). Alla base del disturbo opera il meccanismo della dissociazione ossia un meccanismo di difesa con cui alcuni elementi dei processi psichici rimangono "disconnessi" o separati dal restante sistema psicologico dell'individuo. Secondo i criteri del DSM V, il disturbo dissociativo dell’identità è caratterizzato da:
NB: Il soggetto affetto da DID può essere o non essere consapevole delle diverse identità. Talvolta può riferire di udire “conversazioni interiori” tra gli stati di personalità o voci delle altre identità che si rivolgono a lui o ne commentano il comportamento. In generale, l’interscambio tra gli stati del sé e la (relativa) mancanza di consapevolezza del comportamento delle altre identità rende caotica e confusa la vita delle persone che soffrono di questo disturbo, conducendo ad un disagio significativo. Inoltre, nei soggetti affetti da DID sono comuni atti autolesivi, tentativi di suicidio, abuso di sostanze e flashback degli eventi traumatici. Al disturbo si accompagnano spesso altri problemi psicopatologici, come depressione, ansia (attacchi di panico), sintomi somatoformi, disturbi alimentari, disturbi del sonno e disfunzioni sessuali (DSM 5, APA 2013). Il Disturbo Dissociativo dell’Identità è una seria patologia psichica, che si pensa rappresenti il risultato di esperienze di violenza cronica ed estrema subite dalla persona durante l’infanzia. Non si tratta quindi di un fenomeno oscuro e soprannaturale, ma di una grave e dolorosa condizione di sofferenza psichica, di un trauma risalente all’infanzia. Per un bambino vittima di abuso la dissociazione diventa un modo per ignorare, dimenticare la violenza subita. La dissociazione permette di compartimentare l’angoscia lontano da se stesso, portandolo a credere di non stare sperimentando l’abuso, che sta invece capitando “a qualcun altro”. Così, mentre il corpo subisce l’abuso, un bambino può fluttuare fino al soffitto e guardare ciò che sta capitando a “un’altra persona” (cioè ad una parte dissociata del sé, ad un’altra identità) (Smith, 2007). La dissociazione è l’unico modo che il bambino ha trovato per sopravvivere in quell’esperienza terrificante. Alcune precisazioni:
Dott.ssa Annalisa Ciceri Psicologa e Psicoterapeuta
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