Dott.ssa Annalisa Ciceri Psicologa, Psicoterapeuta e Terapeuta EMDR
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Collateral beauty

4/17/2019

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La morte di una persona cara è uno degli eventi più terribili e traumatici della vita, soprattutto se questa avviene prematuramente, per malattia, per incidenti…
Ognuno affronta la perdita a suo modo: c’è chi attraversa le diverse fasi di elaborazione del lutto e arriva all’accettazione e chi rimane incastrato nel dolore… è proprio quello che accade al protagonista del film “Collateral Beauty”.

Howard (Will Smith) è un dirigente pubblicitario di successo e la sua vita trascorre serena fino alla morte prematura della figlia di soli 6 anni, da allora l’uomo non riesce più a vivere, si chiude in se stesso, non ha più interessi e sfoga tutta la sua rabbia in tre lettere che indirizza a Amore, Tempo e Morte, nel tentativo di trovare una risposta al suo dolore.
Nel frattempo l’azienda di Howard sta attraversando una forte crisi e a questo punto intervengono i suoi amici e collaboratori: Whit (Edward Norton), Claire (Kate Winslet) e Simon (Michael Peña).
Nel disperato tentativo di riportare Howard alla realtà decidono di ingaggiare tre attori per impersonare proprio quelle astrazioni che ormai ossessionano la vita dell’amico.
Amore, Tempo e Morte accompagnano Howard in un percorso che è tutto interiore, nella mente e nel cuore di un uomo che ha bisogno di ricominciare a vivere e specialmente di accettare la realtà della vita.
Non voglio dire di più per non rovinarvi il film che nasconde segreti tutti da scoprire.

“Just be sure you notice the collateral beauty” questa frase racchiude il messaggio fondamentale del film: assicurati di notare la bellezza collaterale. Parole significative per chi, come il protagonista, ha subito un lutto, un trauma importante ma che tutti noi dovremmo tenere a mente ogni singolo giorno.

Vorrei prendere spunto dal film per parlare del lutto e della sua elaborazione.
Elisabeth Kübler-Ross (1926-2004) ha svolto un lavoro pionieristico nel campo dell'assistenza ai malati terminali e nella ricerca sulla morte e il morire.
La studiosa passò molto del suo tempo ad intervistare più di duecento pazienti malati terminali di cancro di mezza età, che quindi, affrontavano questo evento in modo improvviso ed inaspettato e questo le ha consentito di fare scoperte che sono in seguito state confermate da altri ricercatori e che sono ormai patrimonio acquisito di questo campo di studio.
La descrizione del modello a cinque fasi del dolore rappresenta sicuramente la parte più rilevante del pensiero di Elisabeth Kübler-Ross. Non si tratta di una teoria, quanto di uno strumento che tenta di descrivere e capire le dinamiche mentali più frequenti della persona a cui è stata diagnosticata una malattia terminale, ma anche le dinamiche di chi subisce un lutto o una perdita. Da sottolineare che si tratta di un modello a fasi, non a stadi, per cui la tempistica con cui queste possono presentarsi può variare da soggetto a soggetto. Infine ogni stadio è ripercorribile più volte, poiché il suo superamento non necessariamente è definitivo.
  1. C’è un’iniziale fase di negazione o rifiuto, in cui il soggetto non ammette che l’evento sia capitato, o stia per capitare proprio a lui: “Non è possibile, non ci credo”.
    Non è raro, in questa fase, che il paziente terminale racconti avvenimenti importanti della propria vita, condivida alcune fantasie sulla propria morte o sulla vita dopo la morte, per poi, dopo pochi minuti, cambiare argomento, a volte, contraddicendo cosa aveva esposto precedentemente. Il paziente può parlare della propria salute e malattia, della propria mortalità ed immortalità come se i protagonisti fossero due fratelli gemelli a cui è permesso di esistere l’uno accanto all’altro, in questo modo gli è possibile affrontare la propria morte mantenendo ancora un po’ di speranza nel futuro, infatti, fino a quando il nostro inconscio è caratterizzato dalla concezione di essere tutti immortali è alquanto inconcepibile riconoscere, invece, che tutti dobbiamo morire.
    Con il progredire del tempo tale difesa diventa sempre più debole, nel peggiore dei casi può invece irrigidirsi e raggiungere livelli psicopatologici. Il tutto dipende da alcuni fattori: da come gli viene riferita la notizia, quanto tempo la persona impiega per riconoscere l’inevitabile avvenimento, il modo in cui il soggetto era abituato, durante la sua vita, ad affrontare le situazioni stressanti.
  2. Segue poi una fase di rabbia, in cui il soggetto dopo aver verificato che non ci sono errori di valutazione, comincia realmente a prendere contatto con la situazione e lo fa con sentimenti impetuosi di difficile gestione. Si arrabbia con se stesso oppure con la persona che lo ha lasciato oppure con i medici che non sono stati in grado di salvarlo.
    Per la famiglia e lo staff questo stato di rabbia è molto difficile da affrontare, perché tale sentimento è dislocato, da parte del paziente, in ogni direzione e proiettato nell’ambiente circostante. I visitatori sono ricevuti malvolentieri, cosa che rende l’incontro un evento penoso, inoltre, in seguito sia il paziente che i visitatori reagiranno con una crescente angoscia, senso di colpa e vergogna, o sfuggendo le visite future che aumentano solo il disagio e la rabbia del malato. Molto spesso, il problema consiste nel fatto che poche persone riescono a immedesimarsi nel paziente e a capire veramente quello che prova, di conseguenza si stupiscono delle manifestazioni di rabbia interpretandole in senso personale, quando invece, originariamente hanno poco a che fare con coloro che diventano il loro bersaglio. Il malato che viene rispettato e compreso, a cui viene data la necessaria attenzione e un po’ di tempo, abbasserà molto presto la propria voce e ridurrà le proprie richieste.
  3. La terza tappa è rappresentata del patteggiamento, contrattazione, dove la persona inizia a verificare il suo stato e la funzionalità delle sue risorse, valuta le strategie e i percorsi che possono offrirgli più chance per superare il momento ed inizia una specie di negoziato, che a seconda dei valori personali, può essere instaurato sia con le persone che costituiscono la sfera relazionale del paziente, sia con le figure religiose.
  4. La quarta fase è caratterizzata dalla depressione. Quando il malato terminale non può più a lungo negare la propria malattia, quando è costretto a sopportare altri interventi e una lunga ospedalizzazione, quando comincia ad avere più sintomi o a diventare più debole, non può continuare a sorridere. Nel caso, invece, di un lutto subito si pensa: “La vita non ha più senso, non ce la farò mai a riprendermi, è troppo dura”. La persona che affronta la quarta fase inizia a prendere coscienza che i fatti sono inesorabili e che non si può modificare le cose. Sembrerà di aver toccato il fondo, ma è proprio da questo punto che la persona comincerà a risorgere dal suo stato di tristezza.
  5. Infine la Kübler-Ross descrive l’accettazione, in cui il soggetto realizza cosa sta accadendo intorno a sè, accetta la propria condizione e si prepara al futuro. Non tenetevi tutto dentro, piangete, arrabbiatevi, sfogatevi solo così potrete arrivare all'accettazione. L’autrice nota che ciò che persiste attraverso tutte queste fasi è la speranza, perché ogni difficoltà è un’opportunità che ci viene data, un’occasione per crescere… sarà questa la bellezza collaterale?!

In conclusione, è normale provare sentimenti molto intensi in seguito alla perdita di una persona amata e attraversare un periodo di smarrimento, l’importante è non rimanere bloccati nella sofferenza. La condivisione dei vissuti personali collegati ad un lutto subito, è spesso ostacolata da un atteggiamento sociale che considera disdicevole mostrare di provare certi sentimenti, pensieri e scelte personali. Quindi a volte la persona si vergogna di confidarsi con gli altri e allora può essere utile chiedere aiuto ad uno psicologo, che può affiancare la persona per affrontare emozioni, pensieri e reazioni comportamentali di disagio alla ricerca di un nuovo equilibrio.
Tutto ciò vale anche per la perdita di un amico animale che ha lo stesso identico valore di una persona cara. 



Dott.ssa Annalisa Ciceri
Psicologa e Psicoterapeuta



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