Oggi vorrei presentarvi il film “La nona vita di Louis Drax” che potete trovare su Netflix.
Non a caso ho utilizzato il temine “presentarvi” e non “parlarvi” perché è ASSOLUTAMENTE necessario che guardiate il film prima di leggere questo articolo. In breve il film, tratto dall’omonimo romanzo di Liz Jensen, prende inizio dopo che il giovane Louis Drax precipita da un ripido dirupo il giorno del suo 9° compleanno (dopo essere scampato per otto anni ad incidenti mortali). Da lì entreranno in scena diversi personaggi: - Natalie, la madre di Louis (Sarah Gadon), una donna fragile e molto legata al figlio; - Peter (Aaron Paul), il padre di Louis, scomparso dopo l’incidente e principale indagato per il tentato omicidio del figlio; - il dottor Pascal (Jamie Dornan) che avrà un ruolo chiave nell’aiutare a comprendere cosa è realmente accaduto a Louis; - il dottor Perez, psicologo che ha seguito in terapia Louis, specializzato nell’uso dell’ipnosi; - Louis stesso, infatti il ragazzino pur essendo in coma rimane la voce narrante principale; - e molti altri… Colpi di scena e un finale che vi sconvolgerà!!! Attenzione: Spoiler!!! Ora, certa che abbiate visto il film, vediamo di capire meglio il tema psicologico trattato nella pellicola: la Sindrome di Münchhausen. Questa sindrome deve il suo nome al Barone di Munchausen, conosciuto come il barone delle bugie per aver racconta grandiose e fantastiche avventure completamente inventate. La sindrome è stata descritta per la prima volta in Inghilterra dal dott. Richard Asher ed è possibile distinguere tra Sindrome di Münchhausen e Sindrome di Münchhausen per procura. Le persone affette dalla Sindrome di Münchhausen inventano, con toni accesi e drammatici, malesseri descritti con particolari fantasiosi, che si rivelano come disturbi fittizi provocati volontariamente o la cui esistenza viene fantasticata al fine di assumere il ruolo di malato, in assenza di incentivi esterni (es. vantaggi economici…). Segni e sintomi della sindrome includono:
Si parla di sindrome di Münchhausen per procura (MSBP) quando la persona, tramite la simulazione, non danneggia il proprio corpo ma quello di una altra persona, di solito un figlio. La motivazione di tale comportamento viene ritenuta essere il bisogno psicologico di assumere, per interposta persona, il ruolo di malato. Nella MSBP spesso è la madre che provoca del male al figlio, ma non sempre. Di solito è una donna molto vicina e affettuosa nella cura del figlio durante il suo percorso di guarigione, quasi un ‘angelo del focolare’. Una figura materna che non si mostra necessariamente maltrattante o incurante, ma risulta, al contrario, premurosa, preoccupata, ansiosa per il bene e la salute dei figli e che collabora con l’equipe medica alla ricerca di una cura. Il padre, coniuge della persona affetta da tale sindrome, spesso ha una personalità passiva o detiene un ruolo marginale. Il figlio-vittima, trattato dalla madre come un malato, non ha più un contatto reale con il suo corpo. Doppiamente vittima, dal punto di vista fisico e psichico, della persona della quale dovrebbe fidarsi, sembra avere un Sé fragile e poco differenziato, incapace di difendersi da solo, bisognoso di protezione, in parte assimilato alla figura materna, in una sorta di simbiosi, di indifferenziazione, di identificazione con la parte malata/aggressiva, di regressione che ne impedisce la separazione e l’individuazione, con un condizionamento totalizzante che ostacola la sua crescita. (Sindrome di Munchausen by proxy di M.I.Colombini e F. Meschi, 2014) Il quadro psicologico descritto più di frequente è una struttura tipo ‘falso Sé’, in cui il bambino vittima di questo tipo di abuso esprime la confusione ideativa e la frammentazione interna con comportamenti, manifestazioni, atteggiamenti che non gli sono propri. Per usare un’espressione di marca kleiniana, si tratterebbe di un bambino che ha introiettato una parte materna cattiva e che, non riuscendo più a emanciparsi né fisicamente né psicologicamente dalla sua malattia, tenderà a confermare i suoi sintomi. In tale contesto il bambino oggetto di abuso riceve dalla madre affetta dalla sindrome e perpetratrice, il messaggio di essere curato e amato solo se malato. (Sindrome di Munchausen by proxy di M.I.Colombini e F. Meschi, 2014) Purtroppo la Sindrome di Münchhausen, nelle sue due manifestazioni, è insidiosa, subdola e difficile da riconoscere. Curare queste persone è difficile anche in virtù del fatto che nella maggioranza dei casi non riconoscono alcun disturbo o problema e rifiutano a priori ogni tipo di aiuto. Dott.ssa Annalisa Ciceri Psicologa e Psicoterapeuta
0 Commenti
|
Categorie
All
|